La notte porta consiglio
La notte porta consiglio (e anche un mucchio di altri guai)
L’intervista (im)possibile, dialogo falso di pensieri veri tra Carlo Pallavidino e Michelangelo Antonioni
E all’improvviso dinanzi a me lei si scompone in frammenti
(V. Nezval, Meteora, in La donna al plurale)
Accadrà che il confine non potrà in nessun luogo esser fissato, e il poter fuggire via protrarrà per sempre il fuggire.
(…)
Questa è Venere per noi; di qui anche il nome d’amore;
di qui prima volta stillò quella goccia
di dolcezza d’amore: la seguì gelida ansia.
(Lucrezio, La natura delle cose)
Il desiderio di scrivere la notte e scacciare la paura del giorno che verrà. Poi l’alba e il giorno e non c’è più paura, solo la luce e l’ineluttabile, il rischio inevitabile come l’acqua per il nuotatore e si procede lentamente, cauti e arrivano i primi morsi da sotto, di fianco.
(Antonio Porta)
Non resta che fare film, vale a dire cercare di vivere, e di capire
(Michelangelo Antonioni)
Trieste, 21 giugno 2014
CP – Guardando queste foto, questi corpi, questi brandelli di corpo che si ricompongono in forme plastiche ed evocative, mi vengono immediatamente in testa i legami del tuo cinema con le arti figurative e come esso abbia rappresentato, a sua volta, un notevole ascendente su di esse. E ancora come, nelle evoluzioni della contorsionista de La notte (che tanto mi richiamano l’uomo metafisico di De Chirico) e nelle mutazioni visionarie di Palusa si sprofondi nelle inquietudini del mondo contemporaneo secondo una prospettiva impietosa e lucida: quel “tutto in una notte” metafora della crisi della coppia borghese, nel tuo film e della fluidità anatomica, nei curiosi oggetti viventi del giovane fotografo. L’occhio è ateo e mondano, il denominatore comune è l’alienazione dei sentimenti in una dimensione all’apparenza dolorifera, sofferente, quasi pornografica. Pur sempre intrisa di bellezza, eleganza e seduzione.
MA – Vorrei liberarmi dalla cappa dei sentimenti per stare più sui fatti. Vorrei sentirmi sollevato dal grande peso di dover esprimere dei sentimenti, avere meno preoccupazioni per quello che è lo snodarsi delle vicende, lasciare insomma che siano i fatti a parlare. Le immagini, in questo caso. La notte doveva essere il momento della decantazione dei temi e della forma; non solo un discorso attraverso la forma ma anche sulla forma. Io aspiravo, incessantemente, all’oggettività.
CP – Quello che Deleuze definirebbe “oggettivismo critico”.
MA – Sì, quello che mi interessava soprattutto erano i rapporti dei personaggi tra di loro.
CP – Un rapporto fatto di vuoto, di consapevolezza del vuoto, tragica e risibile.
MA – La leggerezza del vero nasconde il fondo, il contenuto; inevitabilmente si giunge al vuoto, come dire “sotto il vestito niente”. La tragedia dei personaggi del film è un rapporto in crisi che non riguarda soltanto i rapporti epidermici col mondo e gli avvenimenti che in esso si succedono, ma anche il sistema di valori che non sono più validi. E non bisogna sottovalutare il dramma di questi esseri umani, che senza di esso non esisterebbero nemmeno; né credo che la bellezza del mondo moderno, da sola, possa risolvere le nostre difficoltà. Al contrario, ritengo che, una volta che ci saremo adattati alle nuove tecniche di vita, forse saremo noi a trovare nuove soluzioni ai nostri problemi. Il dramma appartiene a chi non riesce ad adattarsi.
Ma perché mi fai parlare di queste cose? Non sono un filosofo e tutti questi ragionamenti non hanno niente a che vedere con la creazione di un film.
CP – E pure Swift, nel suo Pensieri su vari argomenti, afferma che «La visione è l’arte di vedere le cose invisibili». In questa mostra la scena “carnale” del tuo film del 1961, si accosta alle foto assolutamente contemporanee (e innegabilmente carnali) di Palusa dando vita a una esperienza creativa e concettuale innovativa. Possiamo dire di trovarci di fronte a un’attitudine aperta, di ricerca, moderna e tendenzialmente antinarrativa come fu la tua poetica?
MA – Risponderò con Deleuze che nei suoi Dialoghi si augura: «Quando scrivo su un autore, il mio ideale sarebbe di (…) restituirgli un po’ di quella gioia, di quella forza, di quella vita politica e di amore che lui ha saputo donare, inventareı. Quella gioia e quella forza, evidentemente, sopravvivono nell’instabilità morale, politica e persino fisica del mondo contemporaneo, in cui la fisica diventa metafisica, in cui quasi non esiste frontiera tra scienza e fantascienza. Viviamo ogni giorno un’avventura ideologica o sentimentale.
CP – Questo tuo essere sempre contemporaneo, mai profetico, a discapito dell’eternità, della “eternabilità”; sempre storicizzato: per dirla con Arbasino, non corri il rischio di essere troppo à la page?
MA – To be and not to be.
CP – Carlo Paolo Pallavidino
(Novi Ligure, 19 ottobre 1966 – Trieste, 9 marzo 2008), poeta e critico cinematografico
MA – Michelangelo Antonioni
(Ferrara, 29 settembre 1912 – Roma, 30 luglio 2007), regista e sceneggiatore, è considerato uno dei più grandi registi della storia del cinema
* L’intervista (im)possibile è immaginata, composta e montata da Carla Dragoni