Manlio Malabotta e l’Istria di 70 anni fa
«Il mio curriculum lo troverà nella notizia delle poesie, e a esse posso aggiungere che dal 1933 non vivo più a Trieste, che dal 1946 sono a Montebelluna, che prima ho soggiornato sul Carso (Comeno) e in Istria (Montona) e che la terra che più amo è proprio l’Istria» così scrive Manlio Malabotta nel 1969 a Jacopo Cella, direttore della Società istriana di archeologia e Storia patria del Veneto.
Porpio ‘n bel sogno: ‘na specie de Istria è il titolo della mostra visitabile dal 14 gennaio al 4 febbraio 2014 a Trieste in via Torino 8. Un verso della poesia Fata Morgana, scritta da Malabotta fa da titolo per questa mostra allestita nella sede del Civico Museo della Civiltà Istriana Fiumana e Dalmata che ha per protagoniste Montona e l’Istria tanto amata e che ci fa scoprire altre passioni di Manlio Malabotta: una madonnina del 1200 trovata in una semplice cucina istriana e lo struggente ricordo di un mondo scomparso, riflessioni, appunti, spesso inediti, e versi di Malabotta ci ricordano, ancora una volta, quanto la “costa orientale” fosse parte integrante della sua vita.
E poi le colline e le nuvole dell’Istria, un battesimo a Montona, la piazza di Rovigno, la spensierata gioia sul molo di Salvore, momenti di festa a Visinada e una serie suggestiva di immagini realizzate a Fiume sono la felice scoperta di questa mostra, grazie alla generosa disponibilità di Franca Fenga Malabotta. Tutte le fotografie esposte hanno almeno 75 anni di età ed è sorprendente che l’insulto del tempo e la sottile, sotterranea azione degli agenti chimici necessari al loro sviluppo, non abbia intaccato i sali d’argento della loro emulsione. Il restauro digitale effettuato su ogni file uscito dallo scanner, ha così potuto riportare tutte le immagini all’antico splendore, restituendo allo stupore degli occhi di chi le guarda, la struttura della composizione, la scala dei grigi e ogni dettaglio inserito dall’autore nell’inquadratura.
Manlio Malabotta ha realizzato tutte queste foto con una “Leica”, un apparecchio di piccolo formato, agile, poco pesante, da usarsi a mano libera. Lui era un amateur, un fotografo che realizzava immagini per passione, scrivendo con la luce sulla pellicola quanto colpiva la sua immaginazione, la sua cultura, la sua sensibilità. Poteva raccontare liberamente, creare le immagini a proprio piacimento perché era svincolato dalla committenza, dal risultato finale dettato da un cliente. In sintesi era libero. Al contrario i fotografi professionisti negli Anni Trenta erano obbligati e affezionati alle pesanti e statiche fotocamere a lastre, fissate a un cavalletto ben piantato nel terreno. In più dovevano rispondere al cliente che si era rivolto al loro studio e che avrebbe pagato le stampe ricavate dai negativi. Era quasi impensabile che questi fotografi usassero un apparecchio di piccolo formato come la “Leica”, apparso sul mercato italiano nei tardi Anni Venti. Pochi avevano capito le sue grandi possibilità espressive collegate all’uso a mano, alla scelta dell’inquadratura non vincolata al cavalletto, alla grande autonomia diretta conseguenza dell’uso della pellicola cinematografica. Trentasei immagini erano contenute in ciascun rullino e potevano essere scattate quasi a raffica, senza dover togliere necessariamente l’occhio dal mirino.
Manlio Malabotta ha capito queste potenzialità del nuovo apparecchio e le ha usate sapientemente.
Due suoi scatti realizzati nel 1937 a Visinada e che nel 1979 entrarono come opere “anonime” negli Annali della Storia d’Italia, l’immagine fotografica dell’editore Giulio Einaudi, e che con il lavoro di ricerca di Claudio Ernè per questa mostra hanno “ritrovato” il loro autore: Manlio Malabotta.
Sono queste alcune delle felici scoperte rese possibili soprattutto per la generosità di Franca Fenga Malabotta che ha messo a disposizione l’archivio fotografico del marito per
Questa mostra, promossa dall’IRCI, ideata da Diana De Rosa e Massimiliano Schiozzi, si affianca alla mostra, Malabotta e le Arti, in corso al Magazzino delle Idee organizzata dalla Provincia di Trieste, per valorizzare la poliedrica personalità di Manlio Malabotta.