Il fondamentale ruolo che riveste l’altro
«Il visitatore italiano che proviene da fuori Trieste, attribuisce alla nostra città un vissuto multietnico, che avrebbe portato a un’esperienza consapevole e goduta della multiculturalità, proprio grazie ai precedenti storici. Grande è quindi il suo sconcerto quando il discorso cade sull’importanza delle lingue e scopre che lo sloveno è conosciuto solo da una piccola parte del gruppo maggioritario italiano, ma soprattutto che non è incluso tra le lingue insegnate a scuola!
Ecco, proprio l’uso dell’imperfetto – era – invece dell’indicativo – è – indica una grande conquista per tutta la cittadinanza ed è di questo che parla il libro.
Infatti, da qualche anno lo sloveno, quindi la lingua del gruppo minoritario, è stato introdotto come seconda lingua straniera curriculare nella scuola F. Rismondo. Ciò è stato reso possibile da una serie di fortunate coincidenze, rappresentate in primo luogo dalle persone che si sono attivate per realizzare un progetto “irrealizzabile” per decenni. Nel libro alcuni di questi protagonisti presentano il loro impegno per rendere reale “l’irrealizzabile”, altri, come i genitori che avevano allora con determinazione sollecitato l’introduzione della lingua slovena, sono invece comunque presenti nella testimonianza dei primi. È una testimonianza appassionata che rende evidente la grande mole di lavoro svolto nell’ambito di un programma di ricerca continua, che ha garantito una proficua ricaduta, tuttora presente, sull’insegnamento e sull’apprendimento degli alunni.
La ricerca, che è il tema del libro, si compone di due parti, all’apparenza nettamente distinte tra di loro.
La prima parte si basa su un uso scientifico di strumenti statistici, con un’elaborazione di dati provenienti da un questionario applicato agli alunni. Abbiamo quindi una serie di numeri, percentuali ecc. che riguardano le risposte date dai ragazzi.
Nella seconda parte gli stimoli alla riflessione provengono invece dal colloquio che si sviluppa tra i protagonisti, dove l’attenzione è sempre centrata sui figli, quindi sugli alunni. Trattandosi di un colloquio, esso veicola delle informazioni pregnanti di affetti e emozioni, che finiscono a dare un ulteriore significato ai risultati statistici. I genitori infatti parlano dei propri figli, della famiglia e ciò finisce, a mio avviso, a dare un’ulteriore profondità a quanto emerge dallo studio statistico, perché così i protagonisti acquistano spessore in quanto persone. Ma anche i dati statistici danno una diversa concretezza a quanto viene emergendo dai colloqui con i genitori. Presumo che pure la ricercatrice e la psicologa si siano sentite reciprocamente arricchite dal lavoro, svolto separatamente, ma discusso assieme, quindi con stimoli provenienti da tutto quanto si stava facendo.
Mi sento così di poter affermare che nella pubblicazione emerge il fondamentale ruolo che riveste l’altro, il vicino, con la sua lingua e la sua cultura, nel costruire l’identità del singolo con le sue peculiari caratteristiche, che sono in parte anche dell’altro, ma che in ognuno di noi diventano specifiche, a patto di riconoscere all’altro, con gratitudine, l’importanza imprescindibile della sua esistenza per il nostro essere».
(dalla prefazione di Vlasta Polojaz al volume A scuola di sloveno. Una ricerca sull’insegnamento dello sloveno in una scuola italiana di Trieste / Pouk slovenščine. Raziskava o poučevanju slovenščine na italijanski šoli v Trstu)