Salpate dall’Istria, le navi romane, cariche di anfore, attraversavano l’Adriatico per poi scivolare nelle acque salmastre antistanti Aquileia, dove oggi si espandono le lagune di Grado e Marano.
Sul loro limite si apriva il Canale Anfora, importantissimo per l’Aquileia romana. Penetrandovi, si raggiungevano i vari porti attrezzati sulle vie d’acqua che fluivano intorno alla città. Nel gioco degli scambi commerciali tra la Regio X, detta Venetia et Histria, e il Norico, la Laguna di Marano – la cui formazione è di epoca pre-romana, quella di Grado è più dubbia – era fondamentale. Ce la dobbiamo immaginare come una piattaforma logistica tra mare, fiumi e terra, ragiona Paola Maggi, conservatrice del Museo archeologico di Marano Lagunare, dove raccogliamo varie informazioni sulla rotta che stiamo seguendo, e non solo. La struttura racconta anche l’epoca post-romana e le mutazioni di questo crinale tra terra e acqua, e tra parlata veneta e friulana, ma anche tra possedimenti bizantini e longobardi prima, austriaci e veneziani poi. Non pochi i reperti custoditi al museo, alcuni rinvenuti dai pescatori maranesi. Per questo borgo la pesca è risorsa e identità: la praticano ancora in tanti. Parliamo con un veterano del mestiere, Pietro Dal Forno. Pur se in pensione, continua ogni giorno a uscire con la sua barchetta. Da giovane voleva studiare, ma non aveva i mezzi, e così scelse questo duro lavoro. Ma non se ne è mai pentito, ci dice.
In età romana la laguna ricopriva un importante ruolo di raccordo tra entroterra e mare, tra Aquileia e l’Adriatico, tra navigazione marittima e navigazione per canali e fiumi. Su isole o su lingue di terra, ora in parte sommerse, sorgevano ville dotate di scali attrezzati, che spesso erano situate in corrispondenza dei punti di accesso alla laguna o delle foci dei fiumi navigabili. I fondali restituiscono evidenti segni dei commerci antichi, costituiti soprattutto da anfore.